L’idrogeno dei desideri

di Livio de Santoli, Presidente Coordinamento FREE

Qual è la situazione della strategia italiana per l’idrogeno verde? Quali finanziamenti sono previsti e quali obiettivi? Perché non se ne parla? Tanto per dirne una, la Germania vara un piano da 9 miliardi di euro già nel 2020 e questo dopo aver investito 40 miliardi di euro per lo sviluppo delle tecnologie dell’idrogeno negli ultimi dieci anni. Ecco, l’Italia ha destinato alle tecnologie dell’idrogeno 2 miliardi di euro col PNRR (in quattro anni), di cui 300 milioni per la costruzione di distributori di idrogeno. Ben poco, soprattutto senza una vera e propria strategia riguardante quantità prodotte, la filiera industriale nazionale e la creazione di una domanda coerente. Il mercato dell’idrogeno ancora non esiste, ma forse è ora di crearlo, visto che la Commissione europea considera strategico realizzare con l’idrogeno il 24 per cento della domanda al 2050, con un fatturato annuo di 630 miliardi di dollari e la creazione di un milione di posti di lavoro, come parte delle condizioni per raggiungere l’obiettivo di meno 55 per cento delle emissioni al 2030 e, obiettivo ancor più importante, un’Europa a zero emissioni per il 2050.  A questo scopo l’Europa ha previsto l’obiettivo di installare 6 mila MW di elettrolizzatori entro il 2024 e ben 40 mila entro il 2030, obiettivi ulteriormente innalzati con il piano RePowerEu in risposta all’invasione russa dell’Ucraina e la conseguente crisi di approvvigionamento del gas, ultimamente confermati in una vera e propria strategia industriale denominata Net Zero Industry Act (legge per un’industria a zero emissioni nette) presentata dalla Presidente von der Leyen a Davos il 19 gennaio scorso. L’idrogeno verde si produce con le rinnovabili e contribuisce alla diversificazione prima e dalla eliminazione dopo, delle fonti fossili. Inoltre l’idrogeno viene indicato già ora come elemento importante di decarbonizzazione dell’industria che richiede grandi quantità di energia termica.  

Pianificazione scarsa  

Secondo uno studio condotto dal Rina, l’installazione di elettrolizzatori pianificata in Italia è di venti volte inferiore rispetto agli obiettivi proposti dall’Europa per il 2025. Inoltre, in quei settori dell’economia dell’idrogeno in qualche modo attivati (come i distributori), si vorrebbe tornare indietro sottraendo le scarse risorse ad essi destinate dal PNRR a installare 40 distributori. Senza distributori non partirà la filiera della mobilità a idrogeno né nel trasporto pubblico (autobus, treni etc.) né in quello privato, nonostante la disponibilità sul mercato di ottimi autoveicoli come la Toyota Mirai o la Hyundai Nexo che a Parigi circolano normalmente per la cooperativa di radiotaxi Hype fin dal 2015 con 600 vetture. In mancanza di questi fondamentali, sarebbe pura teoria elaborare un piano per sviluppare tutta la filiera, quello che la strategia europea chiama l’ecosistema dinamico dell’idrogeno: utenze (taxi, flotte di autobus, flotte aziendali private ecc.), infrastrutture (distributori, impianti di produzione di idrogeno verde), tecnologie (aziende di produzione di elettrolizzatori, compressori, erogatori, sistemi di accumulo ecc.). Una filiera che darebbe nuova linfa al settore industriale italiano, in assenza di competitor organizzati stranieri, altro elemento contro la volatilità dei mercati dei combustibili fossili.  A supporto della definizione di una strategia in linea con quanto indicato dall’Europa, da alcuni di noi (per esempio, il Coordinamento FREE in un suo Position Paper) ha evidenziato la necessità di affrontare in modo coerente una serie di tematiche correlate, il fulcro di una strategia nazionale: definire un coordinamento tra le diverse forme di incentivazione, definire gli investimenti per le fonti rinnovabili dedicate alla produzione dell’idrogeno, definire le normative tecniche e le garanzie d’origine e progettare l’addizionalità sulla rete (art. 27, RED II), per far sì che la nuova capacità per produrre idrogeno si aggiunga, e non penalizzi, la produzione da rinnovabili, coordinando le contemporaneità e l’assenza di congestioni. Quella strategia che vorremmo dovrebbe, in una ottica di intera value-chain dell’idrogeno, tenere presente i seguenti punti: come rafforzare la filiera nazionale di produzione di elettrolizzatori di larga scala, come semplificare gli iter autorizzativi degli impianti rinnovabili, come definire i termini di servizio per il bilanciamento di rete e degli oneri di dispacciamento e trasporto sull’energia elettrica, abilitando il Power-to-gas ai servizi del MGP e del MSD, come armonizzare l’idrogeno con il recepimento delle Direttive Europee: RED II, DAFI, mercato del gas, come procedere in termini di accumulo stazionario, se e come risolvere le problematiche legate al trasporto.  Intanto, cerchiamo di non perdere l’opportunità data dal PNRR. Nella scheda che il governo italiano ha inviato a Bruxelles, oltre a riassumere le linee guida preliminari della strategia nazionale sull’idrogeno, si specifica che per portare dal circa l’1% attuale a circa il 2% il ricorso all’idrogeno nei consumi finali di energia al 2030 «saranno necessari fino a 10 miliardi di euro di investimenti tra il 2020 e il 2030», esclusi quelli per la capacità   di generazione rinnovabile che sarà fondamentale per produrre idrogeno verde. 10 miliardi di euro che dovrebbero consistere in 5-7 miliardi in investimenti necessari per la produzione di idrogeno, 2-3 miliardi in investimenti in attrezzature per la distribuzione e il consumo di idrogeno (per esempio, treni e camion a idrogeno, stazioni di rifornimento), 1 miliardo di investimenti in ricerca e sviluppo. Fino alla metà di questi investimenti potrebbero essere forniti da risorse e fondi ad hoc, tra cui, appunto, il Recovery Fund e i progetti importanti di interesse comune europeo (IPCEI), istituiti dalla Commissione europea. A parte la scarsità dei fondi dedicati, non sembra a questo livello aver promosso sufficientemente la necessità di affrontare contestualmente il tema della domanda e dell’offerta di idrogeno e della innovazione delle soluzioni esistenti, con particolare riferimento a tecnologie innovative per lo stoccaggio e il trasporto e della trasformazione dell’idrogeno in derivati, i cosiddetti e-fuel, come nella produzione di metano sintetico “100% rinnovabile da idrogeno verde” e CO2 di origine biologica, per favorire il trasporto e la distribuzione di gas nella rete e verso gli utenti.  

Investimenti inefficienti

In questo senso, tutta la capacità rinnovabile dedicata a usi energeticamente poco efficienti dell’idrogeno potrebbe risultare in una certa misura “sprecata”, sottratta cioè ad altri usi potenzialmente più utili per la decarbonizzazione.  La strategia nazionale italiana e di molti altri paesi per l’idrogeno rischia insomma di attuare un’allocazione poco efficace degli investimenti, dal punto di vista della decarbonizzazione almeno, anche se magari non dal punto di vista di chi lavora nel settore del gas naturale e dell’idrogeno.  La sbandierata complementarità dell’idrogeno, che dovrebbe fare “nessuna concorrenza con le altre fonti di energia”, rischia di diventare nella sostanza uno degli obiettivi più disattesi del PNRR.  Con queste premesse, reiteriamo la nostra proposta: per l’Italia si potrebbero supporre i seguenti obiettivi: al 2024 (ma siamo già in ritardo) l’installazione di almeno 600 megawatt di elettrolizzatori per l’idrogeno rinnovabile e la produzione fino a 80-100 mila tonnellate di idrogeno rinnovabile e, tra il 2025 e il 2030, 3 gigawatt di elettrolizzatori per l’idrogeno rinnovabile e la produzione tra 500 mila e un milione di tonnellate di idrogeno rinnovabile. Come si vede, occorre urgentemente individuare una strategia che introduca forme di incentivazione nella produzione di idrogeno e comprenda la realizzazione di una domanda adeguata. In definitiva, sul documento delle linee di indirizzo per una strategia dell’idrogeno, suggerirei di correggere le principali criticità in esso contenute: posizione non chiara sull’idrogeno verde; non vengono fissati gli obiettivi intermedi al 2024; poco riferimento alla ricerca e allo sviluppo; non vi è una quantificazione degli obiettivi aggiuntivi di rinnovabili (nelle LLGG si rimanda alla prossima versione del PNIEC, che sarà pubblicata solo a giugno prossimo; è poco definito il ruolo strategico delle Hydrogen Valley.  Aspettiamo che il PNIEC ci dia soluzioni anche sull’idrogeno, oppure tentiamo, come sarebbe corretto, di dare suggerimenti – attraverso una strategia nazionale – per il PNIEC? Forse la domanda appare ingenua e la risposta scontata.


Vedi la versione originale dell’articolo pubblicata sula rivista QualEnergia numero 1 2023

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